MOVIMENTO, VELOCITÀ E RITMO NELLE MANI E NELLA MENTE DELL’ARTISTA CINETICO

Pare oggi superfluo affermare che “l’uomo contemporaneo, in quanto homo technologicus, vive istericamente nell’era della velocità dimenticando completamente il piacere della lentezza e della leggerezza”. Anche per Aristotele o Archimede, la velocità,  era una questione importante, ma per secoli (almeno fino al 1600) il commercio, la medicina o l’architettura prosperavano senza alcuna preoccupazione per essa.

Così anche l’Arte, almeno fino alla Rivoluzione Industriale.

Dopo il movimento futurista, orgogliosamente italiano, che esaltava la velocità e la macchina con un chiaro intento dissacratorio nel confronti di un passato da distruggere e deturpare, tra gli anni ’50 e ’60 si è sviluppato un fenomeno artistico, che più di altri ha esaltato il ritmo e il dinamismo in modo del tutto originale e dissacratorio.

 

Avete mai immaginato un movimento inutile? Una macchina inutile? Una velocità non veloce, un ritmo nonsense replicato all’infinito?

Perfezione, rigore, essenzialità sono solo alcune delle caratteristiche che un’opera definita “cinetica” (o programmata) dovrebbe avere. Un’arte che va oltre l’estetica, capace di creare rigorosi percorsi di ricerca tecnico-scientifica e di innescare complessi processi d’interazione con lo spettatore mediante sperimentazioni ottico-visive. Talvolta ludica e concettuale, talaltra severa e irriverente, è l’arte Cinetica, arte del movimento e del ritmo per eccellenza

 

 

Un movimento, che può essere reale, se ottenuto con l’apporto di meccanismi, oppure illusorio e ottico, tramite effetti di luce. Era il 1952, quando l’artista Bruno Munari scrive il "Manifesto del macchinismo", nel quale egli parla delle macchine come di veri e propri esseri viventi e dell’uomo come già schiavo di esse. L’artista deve abbandonare il gesto e la materia, per cominciare a fare arte con le macchine. Macchine inutili e replicabili che idealmente possono ripetere all’infinito lo stesso movimento,  prive della loro originaria funzione. Si tratta spesso di opere ironiche e sarcastiche che deridono il sistema dell’arte e del commercio delle opere, come Meta-matic di Jean Tinguely del 1959.Tra le virtù dell’arte cinetica vi è poi l’interattività; lo spettatore non si deve limitare a guardare sommariamente ma agire e, perché no, divertirsi! Alcuni esempi: le "opere-ambiente" abitabili e mutevoli del Gruppo T e 5 movimenti sorpresa di Julio Le Parc.

 

L’artista cinetico indossa spesso gli abiti del tecnico, del progettista e del designer, si interroga sulla percezione visiva, sull’ottica e sui nuovi effetti di luce e colori sulla materia.  Nascono così opere come Proiezione di diapositive a luce polarizzata di Bruno Munari, Luce prismatica di Alberto Biasi, Camera stroboscopia di Davide Boriani, Spazio elastico di Gianni Colombo del Gruppo T, Architettura cacogoniometrica di Gianni Colombo, Tavola di possibilità liquide di Giovanni Anceschi. Forse proprio per queste caratteristiche negli Stati Uniti l’arte cinetica viene ribattezzata Op art, ovvero Optical Art.

 

Anche se gli anni’70 segnano la fase discendente della corrente, a causa dell’eccessiva notorietà e della prevaricazione da parte della Pop Art americana, rimane pur sempre una tappa fondamentale della storia dell’arte. L’arte cinetica ha creato le condizioni per un lavoro di équipe, un modello ideale per un continuo processo di sviluppo artistico attraverso il quale l'opera viene considerata prima di tutto oggetto, luogo di ricerca, spazio della sperimentazione, nel quale si incontrano vari percorsi interpretativi della relazione tra soggetto e oggetto. Ma soprattutto ha reinterpretato il concetto di movimento/ritmo e ha messo in luce la frustrante sottomissione dell’uomo nei confronti della tecnologia. Sottomissione che si potrà evitare solo quando l’uomo tornerà a vivere seguendo i dolci ritmi della Natura e si riapproprierà dei silenzi instancabili dell’Universo.

 

A cura di Simona Negrini


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