LE CITTÀ DI CRISTALLO DI CLAUDIA MAINA.

‘Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura. D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda’.

 

Italo Calvino raccontava così le sue città invisibili e Claudia Maina, dopo decenni, ne ha scoperto le verità nascoste tramite le sue istallazioni d’arte. L'arte nasce per innescare domande, perplessità, riflessioni, per catturare lo spettatore.

 

Ed oggi, che l'arte non è più reclusa alla sola estetica del bello, diventa difficile riuscire a catturare uno spettatore spesso distratto da cotanti avvenimenti quotidiani. Claudia Maina è riuscita in questa impresa, non solo catturando lo spettatore ma coinvolgendolo in un turbinio di domande sul quotidiano vivere. Come un castello di carte da gioco viene costruita la città di Maina: i bicchieri di cristallo, nella loro durezza e trasparenza, diventano appartamenti in cui chiudere l’uomo. Le combinazioni diventano molteplici e l’obiettivo pare sempre quello della costruzione dopo una caduta. A voi cosa ve ne pare?

Intanto, per chiarirvi le idee, ecco la nostra intervista all'autrice.

 

1. Cosa ti ha spinto a costruire castelli di cristallo?

Come è nata l'idea di immaginare appartamenti che fossero bicchieri in cui vedere gli uomini abitare?

L’idea è nata da una frase che un amico mi disse molti anni fa...

Eravamo ad una festa e lui improvvisamente si mise a gridare in modo ossessivo “Siamo come le cimici…siamo come le cimici! Tutto ciò che facciamo non ha senso”! Ripeteva questa frase continuamente lasciando tutti gli invitati storditi e perplessi. Questo parallelo uomo-cimice è entrato in risonanza con una mia particolare sensibilità verso gli spazi. Gli insetti spesso vivono in luoghi chiusi o costretti, sottoterra ad esempio. Ho cercato di capire in quale modo rendere questa similitudine e perché un uomo-insetto. Semplicemente ho pensato a come noi catturiamo gli insetti in casa. Lo facciamo con dei bicchieri o barattoli capovolti sull’animale, mettendo un foglio di carta sotto il contenitore lo imprigioniamo e ci troviamo con un barattolo in mano ad osservare la nostra preda. Metaforicamente ho catturato degli uomini dentro a barattoli e bicchieri. Li ho messi uno sull’altro, immaginando di costruire delle città, ma all’inizio erano più che altro degli accumuli. Mi interessava l’azione stessa dell’impilare in modo ripetitivo. L’uomo-cimice diventò per me l’uomo che vive in spazi costretti e chiusi. Ho iniziato quindi a lavorare sulla dimensione spaziale quotidiana ed abitativa delle persone. Un’evoluzione naturale del lavoro è stata quella di pensare a spazi che fossero intimi ed emotivi, al rapporto con il proprio corpo che vive gli spazi quotidiani.

Mi piace lavorare sulla relazione fra il grande uomo-città ed il piccolo uomo-corpo.

 

2. Hai preso ispirazione da Le città invisibili di Italo Calvino?

Se devo essere sincera, no. Quando ho cominciato a lavorare a Bedbug World non l’avevo ancora letto. Mi sono avvicinata a questo libro solo successivamente, dopo che alcune persone me lo avevano segnalato in rapporto alle mie installazioni. In effetti, l’immaginario di Italo Calvino ne Le città invisibili ha indubbiamente creato un immenso bacino dal quale poter cogliere nuovi modi di pensare la città, di viverla, progettarla e fantasticarla. E certamente ne ho tratto delle suggestioni che non si sono però tradotte direttamente nel lavoro. È comunque interessante quando altre persone trovano nei tuoi lavori delle connessioni di senso o dei riferimenti estetici che tu nemmeno avevi immaginato.

 

3. Gli uomini diventano cimici, perché?

Perché visti come una moltitudine compiono gesti ripetitivi e quotidiani, metodici e dettati da regole, come se fossero inconsapevoli della propria stessa vita. L’uomo insetto è laborioso e abitudinario, ma raramente si ferma e usa la comunicazione solo in modo funzionale alla sopravvivenza. L’idea di un uomo che diventa insetto è concettualmente un’esasperazione di elementi legati ad una visione utilitaristica della vita e dei rapporti. In realtà gli insetti sono molto più affascinanti di noi.

 

4. Architetture effimere crollano per poi essere ricostruite. È la metafora per affermare cosa?

Un ciclo ripetitivo continuo nel tempo, ma che nella ripetizione produce dei cambiamenti.

 

5. All'interno di alcuni bicchieri sono presenti uomini e ragnatele a forma di clessidra. Il tempo diventa così resistente alla memoria e al contempo facile da perdere. È forse colpa del nostro modo frenetico di vivere le giornate, in cui correndo spesso perdiamo lunghissimi fili di storie poco vissute?

Direi di sì. Io lo percepisco come un tempo che viene vissuto per istanti ripetuti. Le azioni quotidiane e la frenesia ci portano a sviluppare una sorta di anestesia nei confronti del “resto”, questo si traduce in una totale incapacità di vivere pienamente il tempo, se non in termini di utilità, appunto.

 

6. Le trasparenze, la lucentezza, la durezza e la fragilità. Tutte caratteristiche del vetro, tutte unite e opposte a loro stesse. Perché hai scelto il vetro come protagonista delle tue istallazioni?

Perché ne sono innamorata. Ho una passione per il vetro da sempre. Il fatto che sia un materiale modellabile lo rende concettualmente molto interessante, perché può trasformarsi all’infinito ed apparire sempre in forme nuove. Le caratteristiche che tu descrivi rendono perfettamente l’idea di un mondo lucente, lezioso e trasparente ma estremamente fragile, che è quello che mi interessava trasmettere. La fragilità in contrasto con la durezza del vetro genera un fascino nella contraddizione. Così i palazzi-cimice che costruisco hanno queste caratteristiche sono lucenti e rassicuranti, ma contemporaneamente fragili nella loro durezza.

 

7. Più che un istallazione d'arte, la tua città di cristallo potrebbe essere interpretata come rappresentazione dello stile di vita. Che rapporto ha questa con la realtà?

Le installazioni Bedbug Word mostrano il rapporto del corpo con una dimensione spaziale costretta e senza aperture. Posso ritrovare nel lavoro degli elementi che nascono dalla mia percezione della realtà (costrizione, senso di fragilità e perdita di riferimenti) e che, proprio per contraddizione, ne propongono una diversa visione. Queste installazioni sono costruite come architetture cristallizzate simili a strutture microabitative. Al loro interno gli omini-cimici sono metafore appunto dell’impossibilità di un tessuto di relazioni umane. Architetture astratte che sono pronte a crollare per poi ricostruirsi, come in un continuo gioco, mostrano un soffocante rapporto mancato fra l’individuo e l’altro da sé. In questo senso sono una traduzione di ciò che a volte percepiamo nella realtà degli spazi quotidiani e delle città.

 

8. Come proteggi la tua idea? In che modo ti difendi da chi potrebbe catturare la tua idea e farla propria?

Proteggo le immagini che pubblico sul mio sito con il sistema di licenze Creative Commons. I progetti ed i disegni possono essere utilizzati e divulgati da altri, ma con obbligo di citarne la proprietà e non a scopo di lucro. Credo che questo sistema favorisca la circolazione di idee proteggendo però l’autore.

 

9. A chi vorrebbe intraprendere la tua stessa carriera artistica cosa consiglieresti?

Consiglierei di frequentare un corso di studi accademici all’estero. Le Accademie di Belle Arti italiane non offrono molto in ambito laboratoriale, ma soprattutto promuovono un modo di fare arte troppo ristretto al mondo dell’arte contemporanea e poco incline alle connessioni fra i diversi abiti professionali creativi.

 

10. In che modo il web ti ha aiutata nella comunicazione della tua arte? Quali benefici ne trai?

Utilizzo il mio sito un po’ come un archivio, oltre che per la divulgazione del mio lavoro e questo mi permette di poter avere il materiale sempre a disposizione ogni volta che mi serve. Uso alcuni social network che sono molto utili nella promozione degli eventi ai quali partecipo. Possono essere uno strumento interessante per creare contatti professionali e mantenere rapporti con altri colleghi. Anche se naturalmente questo da solo non basta e l’aspetto di comunicazione del proprio lavoro passa necessariamente da una promozione personale di diretto contatto con le persone e gli ambienti lavorativi. Avere visibilità in internet resta però molto utile.

 

11. Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?

Purtroppo mezzo vuoto, ma sto cercando di smettere.

 

A cura di Serena Ciarcià


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Commenti: 1
  • #1

    maria luisa fanchini (giovedì, 18 agosto 2011 21:48)

    Sei molto brava. La città di cristallo è perfetta,
    proprio come la realtà. Continua a sfornare idee.


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